giovedì, aprile 13, 2006

Verme Mariposa


Ti ho chiamato, mariposa.
Dall’interno d’un guscio triste come involucro lucro lugubre di calcoli,
parlavo tra me e me di primavere irraggiungibili.
Rimuginavo anche l’oblio,
i soli soli passati da solo divorando rosali la mia essenza di verme…
Vedermi?
.¡No!.
Solo la voce vecchia e stanca rimbombava in quella bombola di sete!
Sola la vorace voce di canto in un urlo si ammutoliva.

¿Chi mi ha rubato il mese aprile, chi? –Pensavo.
¿Non sei stato giá mariposa, verme? –Chiedevo.
In quel buio di riflessioni impossibili pensavo che pensavo
non vedendo che vedevo.
Quanti aprili confinati domandando le risposte!
Quante comode attese, in sudario di seta sudando sete!
Perché?

Non so come ma comunque, una notte nella notte sempre una,
tutto questo domandare, tutto questo rovistare, tutto questo tutto niente divenne una
[preghiera divenne,]
una preghiera diventai…
E ascoltai…
E guardai…

Comunque e in qualche caso comunque morirai disse il ramo quella notte,
c’era la luna che sorrise piena, di lacrime piena, come stelle.
Comunque e in qualche caso comunque te ne andrai disse il salice piangente,
battendo foglie d’allegria e saltando sopra le sue radici.
Ti ho chiamato, mariposa…
Chi mi chiama, verme?
Mariposa!

E ricordai…

Ora sono mariposa, mariposa,
e se mi chiami verme piangerò mariposa,
leggera, come la luna e il ramo e il salice,
ballerini piangenti d’una danza che non aspetta l’ultimo silenzio.
Sarà perché già sempre sta qui…?
Il silenzio?

Io ti chiamo mariposa!
Fermiamoci su questo fiore qui,
battiamo le ali insieme e in silenzio,
come facendo una preghiera.
Guardami. Un attimo! mariposa!
Negli occhi mariposa!!
Diamoci un bacio di lingue in spirali!
Ispiriamo il nostro fiato… In comunione!
Si!
Già sei sempre mariposa!

Guarda che non si torna verme se ti fermi, solo un po’,
qui, con me.